ERACLITO
Le opere sono state esposte: Palazzo Ducale, Sale dell'Esedra, Mantova, 1990; Castello dei Pio, Carpi, 1990; Complesso Monumentale S. Michele a Ripa, Roma; Palazzo dei Diamanti, PAC, Ferrara, 1991; Palazzo Crepadona, Belluno, 1991; Palazzo dei Priori, Sala del Grifo e del Leone, Perugia, 1991.
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Altre Opere
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Narra Diogene Laerzio:
Eraclito, figlio di Blosone, o secondo alcuni di Eraconto, nacque ad Efeso. Fiorì nella 69ª Olimpiade (505-504 a.C.). Fu altero quant'altri mai e superbo...
La misantropia di Eraclito ha origini politiche, come risulta evidente dal passo di Strabone:
Eraclito dice: "Sarebbe giusto che si impiccassero tutti, lasciando il governo della città ai ragazzi, quei cittadini di Efeso che, adulti com'erano, hanno scacciato Ermodoro, l'uomo più capace che avessero tra loro".
Come spiega un'altra testimonianza di Strabone, a Efeso sopravviveva il titolo nominale di re, trasmesso di padre in figlio nella stirpe dei Basilidi, che erano, come in altre città greche, i discendenti degli antichi monarchi. Eraclito era dunque l'uomo più nobile di Efeso, ma riferisce Diogene Laerzio:
... rinunciò infatti al potere regale in favore del fratello... Pregato dai concittadini di dar leggi alla città, rifiutò, perché essa era già in balia della cattiva costituzione.
Riporta Temistio:
Gli Efesii si erano abituati a una vita lussuosa e ai piaceri: ma contro di essi si scatenò una guerra e i Persiani cinsero d'assedio la città. Essi però continuarono nella loro vita di piaceri, secondo la loro abitudine. Tuttavia cominciarono a scarseggiare i viveri in città e quando la fame cominciò a farsi sentire imperiosamente, i cittadini si radunarono per decidere come ci si dovesse regolare, onde evitare di trovarsi del tutto privi dei mezzi di sostentamento. Nessuno però osava proporre che si mettesse un limite ai lussi. Mentre tutti erano in assemblea, un uomo, di nome Eraclito, prese dell'orzo tritato, lo mescolò con acqua e lo mangiò, stando seduto tra loro. Fu questa, una lezione silenziosa per il popolo.
Da altri frammenti emerge poi un genere differente di misantropia o piuttosto di sfiducia nella maggior parte degli uomini.
Riferisce Clemente Alessandrino:
Incapaci di ascoltare e di parlare. La maggior parte degli uomini non intendono tali cose, quanti in esse si imbattono, e neppure apprendendole le conoscono, pur se ad essi sembra. Assomigliano a sordi coloro che, dopo aver ascoltato, non comprendono. Di loro, il proverbio testimonia: "Presenti, erano assenti".
E Galeno riporta:
Uno solo, per me, è diecimila.
Continua Diogene Laerzio:
Alla fine, per insofferenza verso gli uomini, ritirandosi dalla vita civile, visse sui monti, cibandosi di erbe e di piante. Ma in conseguenza di ciò, ammalatosi di idropisia, tornò in città e, in forma di enigma, chiese ai medici se fossero capaci di far sì che dall'inondazione venisse siccità; e poiché quelli non comprendevano, si seppellì in una stalla, sotto il calore dello sterco animale, sperando che l'umore evaporasse. Non avendone, neppure così, alcun giovamento, morì dopo aver vissuto sessanta anni. Ermippo dice che egli chiese ai medici se qualcuno fosse capace di essiccare l'umore, vuotando gli intestini; alla loro risposta negativa, si distese al sole e ordinò ai ragazzi di ricoprirlo di sterco animale. Stando così disteso, il secondo giorno morì e fu seppellito nella piazza. Neante di Cizico, invece, dice che era rimasto lì, non essendo più riuscito a staccarsi lo sterco di dosso, e che, divenuto irriconoscibile per la deformazione, fu divorato dai cani.
L'immagine raccapricciante di questa morte orrenda scompare di fronte alla luminosa intuizione eraclitea, che altri frammenti ci riportano.
Riferisce Diogene Laerzio:
Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell'anima: così profondo è il suo logos.
Un'unica cosa è la saggezza, comprendere la ragione per la quale tutto è governato attraverso tutto.
Non giudichiamo a casaccio delle cose grandi.
Da Plutarco:
Tentai di decifrare me stesso.
Da Stobeo:
È proprio dell'anima un logos che accresce se stesso. Ad ogni uomo è concesso conoscere se stesso ed essere saggio.
Da Temistio:
La natura delle cose ama celarsi.
Per quanto riguarda il rapporto di Eraclito con la divinità, sono chiarificatori questi frammenti:
Il dio è giorno notte, inverno estate, guerra pace, sazietà fame e muta come il fuoco quando si mescola ai profumi e prende nome dall'aroma di ognuno di essi (da Ippolito).
Per la divinità tutte le cose sono belle, buone e giuste; gli uomini invece alcune cose ritengono ingiuste e altre giuste (da Porfirio).
L'indole umana non ha saggezza, quella divina sì (da Origine).
La scimmia più bella è turpe a paragone della stirpe umana... L'uomo più sapiente appare come una scimmia di fronte alla divinità, per sapienza, per bellezza e per ogni altro rispetto (da Platone, 'Ippia Maggiore').
Ed ora le testimonianze da cui emerge la tematica più innovativa di Eraclito: l'universale dinamismo della realtà, il continuo divenire, l'essere che insieme non è.
A chi discende nello stesso fiume, sopraggiungono acque sempre nuove (da Ario Didimo).
Noi scendiamo e non scendiamo nello stesso fiume, noi stessi siamo e non siamo (Eraclito).
Non si può discendere due volte nello stesso fiume e non si può toccare due volte una sostanza materiale nel medesimo stato, ma a causa dell'impetuosità e della velocità del mutamento si disperde e si raccoglie, viene e va (da Plutarco).
Platone nel 'Cratilo' racconta:
Afferma Eraclito in qualche luogo che tutto scorre e nulla permane e, paragonando la realtà alla corrente di un fiume, dice che non potresti scendere due volte nello stesso fiume.
Il divenire di Eraclito è caratterizzato da un continuo passaggio delle cose da un contrario all'altro.
Polemos (la guerra) è padre di tutte le cose, di tutte è re (da Ippolito).
Ciò che è opposizione si concilia e dalle cose differenti nasce l'armonia più bella, e tutto si genera per via di contrasto (da Aristotele).
La malattia rende dolce la salute, la fame rende dolce la sazietà, la fatica rende dolce il riposo (da Stobeo).
Gli opposti coincidono. Comune nel cerchio è il principio e la fine (da Porfirio).
La stessa cosa è il vivente e il morto, il desto e il dormiente, il giovane e il vecchio, perché queste cose mutandosi sono quelle e quelle, a loro volta mutandosi, sono queste (da Plutarco).